Noa Avishag Schnall

Mentre a Ramallah le famiglie palestinesi si riuniscono per accogliere i loro cari, liberati nell’ambito di un nuovo scambio di prigionieri tra Israele e Hamas, emergono testimonianze sconvolgenti sulle condizioni di detenzione e sulle torture sistematiche inflitte ai prigionieri palestinesi nelle carceri e nei centri di detenzione israeliani.
Una delle voci più scioccanti è quella di Noa Avishag Schnall, fotoreporter israeliana di origine ebraica che documentava la missione umanitaria della Freedom Flotilla Coalition a bordo della nave Conscience. Arrestata e detenuta dalle autorità israeliane, Schnall ha raccontato di essere stata “appesa per i polsi e per le caviglie, ammanettata con catene di metallo, colpita sullo stomaco, sulla schiena, sul viso, sull’orecchio e sulla testa da un gruppo di guardie, uomini e donne, una delle quali si è seduta sul mio collo e sul mio viso, impedendomi di respirare.”

Shadi Abu Sido

La giornalista ha denunciato le violenze subite dopo la sua liberazione, descrivendo un sistema di detenzione “fondato sull’umiliazione e la disumanizzazione”, pubblicando la foto del suo viso tumefatto sui propri social. La giornalista ebrea conferma ciò che da più parti si è sempre detto e cioè che gli ebrei che parlano di Gaza sono visti come traditori dal regime israeliano.

Un’altra testimonianza arriva da Shadi Abu Sido, fotoreporter palestinese, rapito il 18 marzo 2024 durante il raid delle forze d’occupazione israeliane contro il complesso medico di Al-Shifa, a Gaza City. Dopo quasi venti mesi di prigionia, Abu Sido ha raccontato l’orrore vissuto: «Ci appendevano per ore, nudi, ci picchiavano e ci insultavano. Ci dicevano: “Abbiamo ucciso i vostri figli. Gaza non esiste più.” […] Mi ripetevano che tutti i giornalisti di Gaza erano stati uccisi». Rilasciato di recente, il fotoreporter ha detto di non riconoscere più la sua terra: «Sono rientrato a Gaza e l’ho trovata come una scena del Giorno del Giudizio. Questa non è Gaza. Dov’è il mondo?». Secondo le organizzazioni palestinesi per i diritti umani, oltre 9.100 palestinesi restano rinchiusi nei campi di detenzione israeliani. Le denunce parlano di torture sistematiche, pestaggi, elettroshock, violenze sessuali, amputazioni, fame e negazione deliberata di cure mediche. Molti detenuti soffrono di malattie croniche e infezioni cutanee come la scabbia. Intanto, fonti palestinesi riferiscono che unità speciali israeliane sarebbero responsabili di irruzioni notturne nelle celle, usando gas lacrimogeni e granate stordenti contro prigionieri disarmati. Dal 2023, almeno 78 detenuti sarebbero morti in custodia, mentre Israele continuerebbe a trattenere i corpi di 726 palestinesi, tra cui 67 bambini.

Mentre la comunità internazionale festeggia ancora una scarna pace, Amnesty International e Human Rights Watch hanno ripetutamente chiesto l’accesso indipendente ai centri di detenzione israeliani, ma finora senza risultati concreti. Nel suo appello finale, Abu Sido ha rivolto un messaggio al mondo:  «Tutti devono essere liberati, perché la loro sofferenza finisca. Se voi morite una volta al giorno, noi moriamo mille volte al giorno.».