Inaugurata il 17 ottobre, presso la Galleria Spazio Macos di Messina, la mostra personale di Ignazio Pandolfo dal titolo “Disegni”, che segna una svolta sorprendente nel percorso dell’artista, conosciuto finora per le sue esplosioni di colore e le composizioni informali.
Oggi, invece, l’autore ci conduce in un territorio completamente diverso: un universo cupo, monocromo, ossessivo, dominato dalla grafite e da un’intensità drammatica che non concede tregua, scavando nell’abisso umano. La serie, composta da trenta opere senza titolo, si presenta come una potente esplorazione visiva dell’angoscia esistenziale. Nel bianco e nero, Pandolfo modella forme ibride e inquietanti: corpi deformi, anatomie sospese tra carne e metallo, spazi claustrofobici e città in rovina. È un mondo post-umano dove la materia sembra gridare e la speranza appare bandita. Sull’origine di questa mostra, racconta Pandolfo nella brochure presentativa, “sono stato colto dalla necessità di disegnare. Non si trattava di schizzi o studi preparatori, ma di lavori finiti, figurativi, in completa controtendenza con quanto già proponevo su tela”. Per anni queste carte sono rimaste nascoste in cartelle e cassetti, dimenticate. Solo recentemente, rivedendole, Pandolfo ha riconosciuto in esse temi ricorrenti e un filo interiore che unisce la sua produzione più visionaria. “Forse,” aggiunge, “era un modo per compensare, inconsapevolmente, l’eccessiva astrazione della pittura”.
Rileggendo quelle immagini, l’artista ha individuato le fonti inconsce che le hanno generate: Kafka, Lovecraft, Cioran, padri del racconto horror e del pessimismo filosofico. Suggestioni che, dice, “prima di finire su carta, erano già passate attraverso il filtro del mio inconscio”. Le macerie e le città distrutte che popolano i disegni non rimandano a guerre contemporanee, come Gaza o l’Ucraina, ma a un ricordo più remoto e personale: i racconti della nonna sul terremoto di Messina del 1908 e, quindi, troviamo anche la memoria storica di Messina in questi schizzi. Da lì nasce quel senso di rovina permanente che attraversa la mostra, come un’eco ancestrale di distruzione e memoria. Sul piano tecnico, Pandolfo conferma una padronanza straordinaria della grafite: superfici cesellate, contrasti violenti, texture quasi scultoree. L’atmosfera è tesa, claustrofobica, attraversata da un surrealismo oscuro che richiama Bacon, Goya, Dalí, Laurie Lipton e Giger, ma senza mai cadere nella citazione diretta. Con questa mostra, Ignazio Pandolfo compie un atto di introspezione radicale: un ritorno alle origini del segno come confessione, come ferita. Il risultato è un corpus di opere tecnicamente impeccabile e tematicamente implacabile, un viaggio attraverso l’ombra, dove il disegno diventa linguaggio dell’inconscio e memoria collettiva.
La mostra sarà visitabile fino al 23 Ottobre.
